La Storia dell'Irpinia

 "Formavano gl'Irpini, nazione assoluta ed indipendente da' Pentri, da' Caudini e da' Caraceni, ed avevano a parte ordini militari e civili. La loro regione compresa presso a poco nell' attuale Principato ulteriore, era circoscritta da una linea che tratta pel corso del fiume Sabato presso Montefusco toccava il lato orientale del territorio di Benevento; da una seconda che diretta al nord seguiva il corso del fiume Tamaro sino ad una delle sue sorgenti presso Monte Falcone; da una terza che volta al sud, passava sotto Bovino e scorreva sino a Conza;  da una quarta che curvata passava per Montemarano verso il sud, e risaliva verso I' ovest, sino a Montefusco".

Il toponimo Irpinia si riferisce al territorio dell’Appennino campano occupato in epoca pre-romana dalla tribù degli Hirpini, genti di origine sannitica e di lingua osca. L’etnonimo deriverebbe proprio dalla lingua osca: in osco, infatti, Hirpus significa “lupo”.

Il lupo, secondo la leggenda, era l’animale totemico che la tribù scelse dopo la deduzione dagli altri clan sanniti. La loro economia, arcaicamente, si basava sulla pastorizia e sull’allevamento.

"Gli Irpini erano un popolo selvaggio, avvezzo a soggiornare nelle caverne e a cibarsi di cacciagione, nonché di frutta che la terra spontaneamente produceva".

Gli Irpini furono tra le tribù più irriducibili e si opposero strenuamente all’espansionismo politico e militare della crescente potenza romana nel corso delle guerre sannitiche. Furono definitivamente assoggettati a Roma solo nell’82 a.C. alla conclusione della guerra civile romana tra Mario e Silla.

Livio, mette gli Irpini al rango di nazione e dice che in guerra, sfoggiavano un lusso eccessivo. L'armamento del soldato irpino, infatti, era formato da uno scudo orlato d'oro o d'argento, da uno stivaletto che calzava alla gamba sinistra, da un elmo con pennacchio variopinto e da una lunga lancia. Le recenti scoperte ce li presentano nel periodo più importante della storia, i sec. V e IV

Dopo l’annessione alla potenza romana, la città irpina fu ricostruita nel sito dove oggi è possibile visitare l’antica Abellinum. I resti dell’antica Abellinum occupano l’attuale pianoro della Civita, a nord-ovest dell’attuale Atripalda.

Fu il dictator Silla a costruire la nuova colonia: essa sorgeva sulla riva sinistra del fiume Sabato, adottando il tradizionale impianto ortogonale dell’urbanistica romana. La nuova città fu circondata da un poderoso sistema murario e divenne rapidamente uno snodo sulla via Appia da e verso la Puglia.

Il sito riunisce reperti preistorici, irpini e romani: è possibile visitare una cittadella, un anfiteatro, l’acquedotto, delle terme e una domus in stile pompeiano. Di particolare interesse è l’acquedotto romano, una delle più grandi opere architettoniche dell’Impero.

Costruito in età augustea, convogliava le acque dall’omonima sorgente fino al porto di Puteoli e alla flotta stanziata a Miseno. Lungo il suo tragitto di 96 km riforniva grandi città come Pompei, Neapolis e Cumae.

La storia di Abellinum segue quella dell’Impero Romano. La città irpina, infatti, entrò in crisi tra il III e IV secolo a causa dell’anarchia militare e del caos amministrativo di Roma.

Il terremoto nel Sannio-Matese nel 346 e la cosiddetta “eruzione di Pollena” sancirono la definitiva fine di Abellinum. La seconda, in particolare, fu una violenta eruzione del Vesuvio nel 472 d.C. Anche se classificata come “sub-pliniana”, cioè di potenza inferiore all’esplosione che distrusse Pompei, Ercolano e Oplonti, anche quest’eruzione produsse una devastazione straordinaria.

Con la migrazione verso sud del popolo germanico dei Longobardi Abellinum si spopolò definitivamente. La popolazione locale si disperse sulle alture nei dintorni, dando origine a nuovi, piccoli centri.

Le trasformazioni in atto coinvolsero anche l’agricoltura, il cibo e il commercio: l’olivicoltura e la produzione d’olio ebbero una battuta d’arresto. Fu così che ci si concentrò sulla produzione di uve e di vini.

Le prime testimonianze di un misterioso “vino greco” provengono da affreschi pubblicitari ritrovati a Pompei, risalenti al I secolo a.C.

Numerose sono anche le testimonianze letterarie: Aristotele, Plinio il Vecchio, Catone, Varrone, Virgilio sono solo alcuni degli autori che hanno raccontato le qualità di questo vino. 

Gli studiosi antichi ci forniscono anche alcune ipotesi su come le uve greche si fossero diffuse dall’Ellade in Campania.

Un vino bianco DOCG caratterizzato dal colore giallo paglierino, più o meno intenso, e dall’odore gradevole e intenso. L’odore caratteristico introduce il nostro olfatto al sapore fresco, ma secco. 

Colore, odore e sapore sono l’esito della coltivazione su terreni unici al mondo. Caratterizzati da suoli dai profili giovani, a causa dell’intensa attività vulcanica e tellurica della nostra regione, che spesso poggiano sui loro substrati pedogenetici di roccia.

Coltivate in otto comuni irpini, le uve del nostro Greco di Tufo provengono da Tufo, Altavilla Irpina e Montefusco.

Ma, in questo tour irpino della Selezione oli d’Italia, vogliamo portarvi in un luogo inaspettato: le miniere di zolfo tra Tufo e Altavilla Irpina.

Uva e zolfo, una relazione inaspettata

I principali siti minerari di estrazione dello zolfo presenti in Irpinia sono due: lo Stabilimento S.A.I.M. di Altavilla Irpina e il sito delle miniere e del Molino Giardino presso Tufo. I due siti furono scoperti tra il 1863 e il 1866 dalle famiglie Capone e Di Marzo.

Perché uva e zolfo irpini sono legati? Perché la scoperta dei giacimenti di zolfo in Irpinia ebbe forti ripercussioni anche sulla viticoltura e sullo sviluppo del Greco di Tufo moderno.

Con la “zolfatura”, infatti, i viticoltori acquisirono un potente strumento contro i patogeni (i solfiti) che potevano svilupparsi nel corso della fermentazione.

Questo accorgimento tecnico determinò un grande sviluppo dei consumi, dell’esportazione e dell’indotto di questo pregevole vino. La costruzione della prima ferrovia irpina, nata per servire proprio questi siti minerari, contribuì ulteriormente alla sua diffusione in Campania e nel resto d’Italia.

Oggi il Greco di Tufo continua a essere premiato, apprezzato e gustato a tavola. Le miniere di zolfo, invece, sono solo un’ombra del passato.

La miniera di Altavilla Irpina, oggi, è ancora parzialmente in attività: produce zolfi per l’agricoltura e l’industria. Le strutture e i macchinari del passato sopravvivono come patrimonio di archeologia industriale.

Il sito delle miniere e del Molino di Tufo, invece, è caduto in disuso nel corso degli anni ‘70. Oggi, dopo un restauro, è liberamente visitabile e costituisce un importante esempio di archeologia industriale moderna.

L’invenzione del Greco e Tufo

Il toponimo del paese Tufo deriva dall’omonima roccia vulcanica.

Il tufo è presente diffusamente nel sottosuolo di tutta l’area, per effetto dell’eruzione preistorica delle “pomici di Avellino”.

Il castello del paese, a partire dal quale si è sviluppato il resto del centro abitato, sorge proprio su queste rocce.

All’ingresso al centro storico, contraddistinto da uno splendido arco, troviamo un edificio con un’alta torre cilindrica e peculiari finestre.

Questa specie di “secondo castello” è palazzo di Marzo, un importante edificio gentilizio risalente al XIX secolo.

L’origine del palazzo è probabilmente ascrivibile a Scipione di Marzo, capostipite dell’ominima famiglia, che ne avviò l’edificazione nel 1648. 

Ed è a Scipione che, tradizionalmente, si attribuisce l’invenzione del Greco di Tufo come lo conosciamo.

Rifugiantosi nel feudo per sfuggire alla peste, Scipione si concentrò sulla viticoltura e sulla mescita nella cantina del palazzo. Il fertile suolo vulcanico tufese, le prove di Scipione e l’uva “greca del Vesuvio” avrebbero dato origine al vino come lo conosciamo.

Tra la fine del ‘800 e la prima metà del ‘900 si assiste a un primo exploit moderno dei vini irpini. La causa fu l’invasione della fillossera della vite. 

Questi parassiti, originari degli Stati Uniti orientali, si erano diffusi grazie al commercio internazionale soprattutto in Gran Bretagna e Francia. 

L’endemica diffusione di questi insetti fitofagi provocò una grave crisi della viticoltura europea a partire dal 1863.

L’Irpinia e il meridione, più isolate rispetto ad altre regioni italiane, furono quasi risparmiate dall’invasione.

Dalla stazione ferroviaria di Taurasi partivano bastimenti carichi di uve e di vino, diretti verso i distretti viticoli toscani, piemontesi e aquitani.

Fonti dell’epoca, purtroppo non verificabili, parlano di una produzione superiore ai 100 milioni di litri e di un’estensione dei vigneti superiore ai 60mila ettari.

Fu così che la Avellino-Rocchetta Sant’Antonio fu denominata la “ferrovia del vino”. La tratta, oggi, è sospesa al traffico ordinario dal 2010. A partire dal 2016, è stata gradualmente riaperta per scopi turistici. 

Oltre a Taurasi, dal carnevale del 2018 è stata riattivata la tratta fino a Montemarano. 

Montemarano è il comune in cui si trova il vigneto Aglianico.

Montemarano fu fondata dal condottiero irpino Mario Egnazio: quest’origine antica e irpina potrebbe essere la spiegazione della peculiare urbanistica, che vende il centro storico assumere la forma di una “Y”.

La città, che fu scenario di una delle ultime resistenze irpine nelle guerre sannitiche, è nota per il suo carnevale e la peculiare tarantella che lo accompagna.

La tarantella è ballata durante la processione del carnevale ed è suonate da piccole e scatenate orchestre di clarinetti, flauti, fisarmoniche e tamburi a cornice, che percorrono ripetutamente le strade storiche del paese. Ogni gruppo musicale è guidato da un “caporabballo”, il personaggio più rappresentativo di tutta la manifestazione, un Pulcinella in costume bianco e rosso.

Il ritmo della danza nel corso della sfilata diviene sempre più sostenuto, fino al delirio, con elaborazioni improvvisate. La presenza del clarinetto le ha valso il soprannome di “tarantella jazz”.

L’origine del carnevale montemaranese e della relativa tarantella continua a impegnare e coinvolgere gli studiosi.

Tra i primi a investigare sulla genesi della festa e della musica fu, già nel XVII secolo, il poeta, scrittore e governatore del paese Giambattista Basile.

L’autore de Lo cunto de li cunti contribuì a sviluppare la teoria che considera carnevale e tarantella come l’esito del melting pot sociale, culturale e religioso nato dall’avvicendarsi delle migrazioni straniere (Goti, Visigoti, Longobardi, ecc).

Il carnevale di Montemarano ha inizio con la ricorrenza di S. Antonio Abate, il 17 gennaio e ha termine la domenica successiva alle Ceneri. Nella notte della domenica di “Carnevale morto”, infatti, si svolge il commiato da Carnevale e si rompe, in segno di buon auspicio, una pignata.

 

AVELLINO CAPOLUOGO

 La rivoluzione francese soppresse il regime feudale, e con Regio Decreto n. 132 dell’8 agosto 1806 "Sulla divisione ed amministrazione delle province del Regno", Avellino ridivenne il capoluogo del Principato Ulteriore (o Ultra). Negli anni successivi (tra il 1806 ed il 1811), una serie di regi decreti completò il percorso d'istituzione delle nuove province con la specifica dei comuni che in essa rientravano e la definizione dei limiti territoriali e delle denominazioni di distretti e circondari in cui venivano suddivise le province stesse (il Principato Ulteriore venne diviso nei distretti di Avellino, istituito nel 1806; di Ariano anch'esso istituito nel 1806 e di s. Angelo de' Lombardi istituito con legge dell'11 ottobre 1817, ogni distretto era ulteriormente diviso in circondari per un totale di 34).

Quando re Ferdinando VII di Spagna concesse la Costituzione si sperò che anche nel Regno di Napoli si potesse ottenere, allora si fece interprete dei desideri del popolo irpino Lorenzo de Conciliis, che collegatosi con i carbonari ed i liberali, fomentò i moti rivoluzionari del 1820 per chiedere la costituzione; quando il re ritrattò le sue concessioni molti irpini furono imprigionati, altri riuscirono a prendere la via dell'esilio e nel 1848 diedero inizio ad una nuova ondata di ribellioni. La Corte borbonica, nel 1860 fuggì a Gaeta ed in Irpinia, il 22 luglio il 3° battaglione del Reggimento "Cacciatori Bavaresi" di stanza ad Avellino furono scacciate; dopo il 7 settembre, con l'ingresso di Giuseppe Garibaldi a Napoli, la provincia ad opera della milizia insurrezionale, venne posta sotto gli ordini del dittatore, in Buonalbergo lo stesso giorno venne proclamato il "Governo Provvisorio Irpino"; il 21 ottobre dello stesso anno il popolo irpino votò l'annessione al Regno d'Italia.

Con Regio Decreto del 17 febbraio 1861, dopo l'aggregazione dell'ex-reame di Napoli al regno d'Italia avvennero nella provincia d'Avellino le seguenti variazioni territoriali. Il circondario di Ariano cedè 11 Comuni alla nuova provincia di Benevento (Apice, Buonalbergo, Fragneto Monforte, Fragneto l'Abate, Molinara, Paduli, Pago Veiano, Pescolamazza, Pietralcina, San Giorgio la Molara e San Marco de' Cavoti) e n'ebbe 7 in compenso dalla provincia di Foggia (Accadia, Anzano degli Irpini, Greci, Montaguto, Monteleone, Orsara Dauno Irpina e Savignano). Il circondario d'Avellino perde 22 Comuni, di cui 3 furono soppressi (Cacciano Fornillo, Montaperto e Sant'Angelo a Cancello) e 19 passarono alla provincia di Benevento (Apollosa, Arpaise, Bonea, Campoli, Castelpoto, Cautano, Ceppaloni, Foglianise, Montesarchio, Pannarano, Paupisi, San Giorgio la Montagna, San Martino Ave Grazia Plena, San Nazzaro e Calvi, San Nicola Manfredi, Tocco Caudio, Torrecuso, Varoni e Vitulano); in compenso però n'ebbe dalla provincia di Salerno (Calabritto, Caposele, Montorio Inferiore, Montorio Superiore, Quaglietta e Senerchia) e 14 da quella di Caserta (Avella, Bajana, Domicella, Lauro, Marzano, Migliano, Moschiano, Mugnano, Pago, Quadrelle, Quindici, Sirignano, Sperone e Taurano).

 

L'IRPINIA OGGI

 Quando si parla di "Irpinia", immediato è l'accostamento, anzi, l'identificazione con la provincia di Avellino. Tuttavia, tale identità è "menomante", nel senso che l'Irpinia, storicamente intesa, è molto più vasta, ricomprendendo territori e genti oggi amministrativamente rientranti nelle province di Benevento, Foggia, Potenza e Salerno, oltre che Avellino. Inoltre, il territorio della provincia di Avellino, che già al 1894 non comprendeva tutta l'Irpinia, era esteso per 3.027 kmq, con circa 415.810 Irpini e 128 comuni, ripartiti tra i tre Circondari, di Avellino (66 comuni, 807 kmq e 183.821 abitanti), di Ariano (26 comuni, 885 kmq e 92.010 abitanti) e di S. Angelo dei Lombardi (36 comuni, 1.345 kmq e 121.942 abitanti).

Purtroppo, ragioni amministrative determinarono, da un lato, l'accorpamento di alcuni Comuni, in modo da conseguire economie di scala (Bellizzi in Avellino, Quaglietta in Calabritto, Tavernola s. Felice in Aiello del Sabato, Chianchetelle e s. Pietro Indelicato in Chianca, sant'Agata di Sotto in Solofra), dall'altro, il "trasloco" di altri Comuni dalla provincia di Avellino alle limitrofe province di Benevento (sant'Arcangelo Trimonte nel 1978) e Foggia (Accadia e Orsara di Puglia [già Orsara Dauno Irpina] nel 1927, Anzano di Puglia [già Anzano degl'Irpini] e Monteleone di Puglia nel 1929, infine Rocchetta sant'Antonio nel 1939). Nel 1930 la provincia fu colpita da un terremoto. Durante la II Guerra Mondiale la provincia fu duramente bombardata, il 14 settembre 1943 Avellino venne quasi rasa al suolo e si contarono molte vittime.

Il 23 novembre 1980, la provincia fu colpita da un tremendo terremoto (X° grado della scala Mercalli), che distrusse interi paesi.

E’ dell’11 giugno 2006, il tentativo, primo dell’Italia meridionale di cambio di regione tramite referendum, fallito dal Comune di Savignano Irpino per passare con la Puglia.

Dal 3 dicembre 2013 (L.R. n. 16 dell'11 novembre 2013 pubblicata sul Bollettino Uff. della Regione Campania n. 63 del 18 novembre 2013), è istituito il Comune di Montoro, mediante la fusione dei Comuni di Montoro Inferiore e Montoro Superiore, separati dal 1829.